La grammatura della carta e l’eleganza dell’edizione sono due segnali inequivocabili di ciò che ci aspetta: una lettura alta, un volo attraverso quasi mezzo secolo di giornalismo musicale. Le tre ‘f’ stampigliate sulla copertina, le ‘f’ di fffortissimo, il titolo del libro, sono il marchio di fabbrica indelebile di Alberto Sinigaglia che, al giornalismo culturale e alla Stampa, ha donato tanto in termini di energia intellettuale. Fffortissimo è una raccolta di 66 cammei-interviste a compositori, direttori di orchestra e ad altri grandi interpreti della scena musicale italiana e internazionale.
Che cosa l’ha spinta a collezionare in un unico volume 44 anni di giornalismo musicale e una selezione di articoli pubblicati sulla Stampa dal 1972 al 2016?
“È sorprendente, emozionante riascoltare i maestri del Secondo 900, sapere come pensavano la musica, il teatro, l’arte, la vita, la società, il mondo. Aiuta a capire un’epoca, a riscoprirne idee, sogni, progetti. Per questo accettai la proposta dell’Accademia Perosi di Biella, che ha fama internazionale, passione culturale, impegno sociale. L’ho fatto anche in memoria di Massimo Mila, grande storico e critico dell’Espresso e della Stampa, che m’incoraggiò a non lasciare la scrittura quando, redattore, ero passato tra coloro che ‘fanno il giornale’ e aiutano a scrivere quelli che spesso lo fanno meglio di loro”.
Dai compositori Malipiero e Stockhausen si passa ai direttori d’orchestra Claudio Abbado e Riccardo Muti, ai maestri Bernstein e Gavazzeni, fino a solisti, registi e scenografi come Ughi, Zeffirelli e Luzzati. Quali tra questi le piacerebbe scontornare con una nuova intervista?
“Leonard Bernstein, il più completo: pianista, direttore, compositore, divulgatore della musica e della sua storia. Vulcanico, ma pensoso. E molto simpatico. L’interrogherei sul futuro: non solo della musica, ma anche dell’America, così mutata, tanto diversa da quella in cui visse”.
Ennio Morricone è un personaggio che manca alla sua galleria di grandi uomini della cultura musicale contemporanea. Che cosa perdiamo con lui?
“Caro Morricone! Ci conoscemmo al Festival di Musica contemporanea alla Biennale di Venezia negli Anni 60. Apparteneva al gruppo di Nuova Consonanza con Franco Evangelisti, Domenico Guaccero e altri compositori. Suonava la tromba, emetteva suoni che sembravano provenire da altri pianeti. Aveva pochi soldi e un abito blu lucido per l’uso. Ci rivedemmo quando era diventato ricco. Aveva la stessa umiltà. Lo incontrai a Torino poco tempo fa. Era stanco, un po’ malato: non scrissi nulla. Perdiamo un maestro che si è espresso solo con la sua arte, raro in una società dell’apparenza e dell’esibizione”.
C’era una volta la Terza Pagina. Come giudica il giornalismo culturale oggi? C’è ancora spazio per un’intuizione come il settimanale ‘Tuttolibri’?
“La Terza pagina rinacque nel dopoguerra come vera palestra di giornalismo, non soltanto culturale. Accanto all’elzeviro letterario, storico, filosofico c’era inchiesta, intervista, reportage: Egisto Corradi, Indro Montanelli, Enzo Biagi, Piero Ottone, Enzo Bettiza, Alberto Cavallari, Arrigo Levi, Alberto Ronchey, Giampaolo Pansa… Persa quella vetrina, sotto testatine culturali si offrì sempre meno cultura e sempre più alleggerimento: pagine irrilevanti, che allontanarono dalle edicole pure i lettori che si credevano i loro primi destinatari. Nell’assillo della comunicazione continua – dilettantesca o pilotata – e contro le fake news ci resta la salvezza di un giornalismo consapevole della propria missione: essere il garante di una società libera e informata. Se questo giornalismo non ritrovasse la capacità di diffondere cultura, mancherebbe a quella missione. Il settimanale ‘Tuttolibri’ fu un’intuizione di successo. Diventato un supplemento, ne suggerì altri simili e belli come quello del Sole 24 Ore e aprì la strada che avrebbe portato a ‘La lettura’ del Corriere della Sera e a ‘Robinson’ della Repubblica. Che fanno sperare per il futuro”.
Quali consigli dà ai giornalisti che scrivono o parlano di cultura e di libri?
“Pensare ai lettori, non ai colleghi. Non fare salotto, non fare marketing. Evitare gli scambi di favore tra autori. Tornare alle recensioni, scritte dopo aver davvero letto il libro. Ridare spazio alla saggistica. Puntare sulla qualità. Bandire l’amicalità. Rispondere agli uffici stampa insistenti, agli autori ammiccanti o questuanti, agli editori incalzanti: ‘È la stampa, bellezza!’, anche se fai radio, tv o scrivi sul web”.
Intervista di Generoso Verrusio