Intervista a Dacia Maraini, autrice de “La scuola ci salverà” e finalista della 58^ edizione
Un libro per capire la scuola italiana, ma soprattutto per spazzare via cliché e luoghi comuni. Un messaggio d’amore nei confronti della cultura e delle giovani generazioni, che Dacia Maraini, autrice finalista del premio Estense 2022, ci consegna all’interno di un volumetto a metà tra prosa giornalistica e letteratura. “La scuola”, ci ricorda l’autrice, “può fare la differenza soprattutto in momenti di crisi”.
La scuola come entità salvifica di una (sempre più) scalcinata comunità nazionale. Benché sia, come istituzione, perennemente sotto tiro. Che cosa la spinge a pensare alla sua missione in termini ottimistici?
“Sono ottimista perché vado continuamente nelle scuole e vedo che tanti presidi e insegnanti si danno da fare con coraggio e generosità. Suppliscono all’assenza dello Stato che finora ha sempre tagliato e mai investito in questo settore strategico per la crescita di un Paese che si vuole definire civile”.
Scuola privata contro scuola pubblica, istruzione tecnica contro istruzione liceale. Pare che la tecnologia e la modernità siano appannaggio di una sola categoria tra quelle appena citate. Il dibattito mediatico predilige una visione strumentalmente manichea. A chi conviene di più?
“Non mi sembra che la scuola privata sia tutta puntata sulla tecnologia. Da quello che vedo io, i genitori mandano i figli alla scuola privata per ragioni di controllo e supervisione. Un controllo, è il loro pensiero, che sia capace di combattere bullismo e droga. Ed è di tutta evidenza che questi genitori sono disposti a pagare salato per ottenere questo obbiettivo, non tanto per prepararli all’istruzione tecnica. Un bel paradosso, non crede? Questa contrapposizione stolta e pretestuosa ingrossa le file di chi vede unicamente nel pubblico il male assoluto della società italiana. Consiglierei un po’ più di cautela nei giudizi”.
Sulla scuola tutti i governi hanno provato a legiferare ma senza riuscire a migliorarla. Mi pare che su questo punto lei sia d’accordo. Veniamo all’oggi. Qual è il suo giudizio sulla proposta di riforma Bianchi?
“Non conosco in modo approfondito la riforma Bianchi per esprimermi. Ciò che posso dire è che la tendenza degli ultimi decenni è stata di considerare la scuola un’azienda che produce dei tecnocrati. Mentre secondo me la scuola non deve produrre niente, ma solo formare dei cittadini
consapevoli e responsabili, senza paraocchi, con la mente aperta e critica. La scuola, detta in altri termini, deve insegnare a pensare con la propria testa confrontandosi coi grandi pensatori del passato e con la Storia nella sua complessità”.
Ma la scuola italiana sforna davvero solo somari, citando il titolo (in chiave ironica) di una recente e bella inchiesta a puntate del Fatto Quotidiano?
“Non sono d’accordo con chi prende sul serio questa provocazione. Ci sono certamente molti somari, ma quelli ci sono sempre stati. Ci sono invece tanti ragazze e ragazzi intelligenti e vogliosi di apprendere e di capire. Sono quelli che, appena usciti dall’università, sono costretti ad andare all’estero per trovare lavoro e si guadagnano subito stima e fiducia. Vuol dire che la nostra scuola è capace di creare donne e uomini di valore, cavalli di qualità e non somari. Semmai il problema sta nella media. Il fatto che non si investa in giovani e nuovi insegnanti, che le classi siano sempre più numerose, che si stia risparmiando sugli insegnanti di sostegno, fa sì che molti rimangano indietro. Insomma, dalle nostre scuole, abbandonate a sé stesse, vengono fuori i migliori e questo va bene per la meritocrazia, ma non va bene per la generale istruzione delle nuove generazioni”.
intervista di Generoso Verrusio pubblicata su FARE News