Un Paese allergico alla verità. Che non rimuove il segreto di Stato su Portella della Ginestra e che condanna i suoi servitori e i familiari delle vittime di mafia a un’insostenibile damnatio memoriae. Paolo Borrometi, condirettore dell’agenzia di stampa Agi, è un giornalista minacciato dalla mafia che è stato costretto a lasciare la sua terra e a vivere sotto scorta. Con il suo libro “Traditori” ci accompagna in un viaggio doloroso e amaro nella storia d’Italia in cui denuncia i criminali che mirano a creare confusione nel Paese per raggiungere i propri interessi illegittimi.
Chi sono i traditori e i mascariatori d’Italia e perché sono sempre al loro posto (protetti e incensati)?
“A questa schiatta poco commendevole appartengono i manutengoli del potere mafioso. Si muovono a tutti i livelli, agiscono nell’ombra e sono abili nel ribaltamento e nell’offuscamento della realtà. Protetti? Banalmente perché sono parte del sistema. Occorre partire da un presupposto fondamentale, però, per comprenderne le radici”.
Ovvero?
“La mafia è un abito mentale, è un atteggiamento connaturato all’essere umano. Ce lo hanno ricordato due monumenti della resistenza civile come Rita Atria e Peppino Impastato”.
I veri servitori dello Stato dopo la morte rischiano la damnatio memoriae.
“Sì, anche qui in un capovolgimento comico, se non fosse tragico, della realtà. Sporcati, mascariati in vita, nella morte subiscono un ulteriore e infamante affronto: sono morti perché se la sono andata a cercare o, per converso, perché così integerrimi forse non lo erano. Questa impostura, di regola, si sposta poi sui familiari delle vittime che non solo patiscono la perdita del loro caro ma devono preoccuparsi di difenderne la memoria fin dentro le aule dei tribunali. Posso fare un esempio così ci capiamo?”.
Prego.
“Giovanni Falcone nel fallito attentato dell’Addaura ha avuto una grandissima colpa: non essere morto. Quei 58 candelotti di dinamite se li era procurati lui. E se non lui, la sua scorta… fintanto che derubrichiamo l’omicidio di mafia a fatto privato e non lo facciamo diventare un fatto collettivo non faremo mai i conti con la nostra storia. E con la nostra coscienza”.
Quanto male fanno i traditori della porta accanto, gli insospettabili misirizzi mimetizzati nella quotidianità?
“Tanto quanto quelli che dal sistema ricevono prebende e assistenza. Ma per certi versi sono ancora più insidiosi. Anzitutto perché sono perennemente sottotraccia, invisibili anche a loro stessi. Chi diventa mascariatore nella sua routine normale, da cittadino normale e, perché no, da funzionario modello, è un manovale della cultura mafiosa. Non sa dire di no al suo superiore gerarchico – talvolta le gerarchie sono il paravento degli utili idioti – e decide di combattere una guerra che non è nemmeno la sua. Di certo con la sua condotta, formalmente ineccepibile, alimenta il brodo dell’indifferenza che alla mafia piace molto”.
“Traditori” è composto di storie famose ma anche di ritratti meno noti, come quello di Umberto Mormile.
“Umberto Mormile era un educatore carcerario che credeva nel principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. Fu ammazzato perché scoprì una trattativa ante litteram: tra uomini dei servizi segreti e boss della ‘ndrangheta. Post mortem, i soliti traditori provarono a farlo passare per corrotto”.
In Fnsi, il sindacato dei giornalisti italiani, hai le deleghe all’educazione alla legalità e all’analisi delle minacce ai giornalisti. Qual è lo stato del nostro mestiere dal punto di vista delle intimidazioni?
“Per dirla con una metafora, il barometro segna tempesta. Ci sono colleghi che subiscono attentati e minacce, per questo sono sotto scorta. Ci sono tanti giornalisti, penso soprattutto a chi lavora nelle periferie del nostro Paese e fa un giornalismo di prossimità, che entra ugualmente nel gorgo dell’intimidazione e della delegittimazione. I metodi li conosciamo: le querele temerarie”.
Come giudichi l’annunciata riforma della giustizia sul tema delle intercettazioni?
“Voglio essere chiaro, per non cadere nella becera strumentalizzazione politica. Gli ostacoli al diritto di cronaca non nascono con il governo Meloni, ma sono il frutto di processi di riforma cominciati con esecutivi precedenti e di ogni colore. La riforma Cartabia costituisce indubbiamente una involuzione e l’annunciata riforma Nordio si salda a una base già compromessa”.
L’Italia è il Paese che ai segreti inconfessabili aggiunge misteri su misteri. È una buona sintesi di quasi 80 anni di vita repubblicana?
“Tecnicamente è così. Basti pensare al segreto di Stato opposto alla strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947. Quanti anni sono passati da allora? E quanti ne dovranno passare per avere verità e giustizia?”
(Generoso Verrusio)