«Un sociologo» diceva Gesualdo Bufalino «è colui che va alla partita di calcio per guardare gli spettatori».
Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes, è a sua volta un sociologo, però il suo sguardo viaggia sul campo di gioco, non solo sugli spalti. Quel campo è il perimetro delle nostre Istituzioni, di ciò che usualmente definiamo Repubblica italiana; sulle tribune, vociante e scalpitante, si affolla invece la società italiana. Che rapporto corre fra attori e spettatori? E fino a che punto i primi vengono influenzati dai secondi?
O viceversa: quanto Stato circola nella società civile, quanto senso di comunità, d’appartenenza a un unico destino? Porsi questo tipo di domande significa interrogarsi sulla qualità della democrazia italiana, sulle sue trasformazioni, sulle su (ahimè) degenerazioni. Pillole di buon senso, così potremmo definire queste note. Quel buon senso che in genere se ne sta nascosto per paura del senso comune, come diceva Alessandro Manzoni.
Nel caso di Fara, l’assennatezza gli consente pronostici che puntualmente poi si avverano. Così, nel 2014 egli paventava il rischio che la contestazione di piazza potesse saldarsi con quella delle urne; e alle elezioni del 2018 quello scenario si è materializzato. Mentre nel 2019 Fara si domanda come mai la crisi del ceto medio, che in Francia ha innescato la protesta dei “gilet gialli”, in Italia non abbia acceso roghi sulle strade. La risposta è fulminante: perché noi abbiamo il sommerso (530 miliardi, un terzo del Pil), l’illegalità diffusa che ci ha permesso di arrangiarci, di sopravvivere alla buriana trasgredendo leggi e regolamenti. E però, attenzione: senza ceto medio non c’è democrazia, come ci ha spiegato in lungo e in largo Amartya Sen. C’è soltanto l’America latina, con i poveri nelle favelas, i ricchi blindati nei propri quartieri, e un Caudillo che regna incontrastato.
Oggi, siamo rimasti intrappolati in una rete di inefficienze e di egoismi, pubblici e privati, individuali e collettivi.
Venirne fuori sarà dura, ma non potremo mai riuscirci senza una più matura consapevolezza dei guai che abbiamo sul groppone. Questo libro può aiutarci, può farci aprire gli occhi. Anche perché non è scritto con lo stile pedante di chi parla dalla cattedra, né col tono ciarliero che spesso usano i sociologi. 100 appunti, piccole particelle di memoria collettiva che Gian Maria Fara affida al lettore di “buona volontà”, nella speranza di riuscire a fissare alcuni passaggi delle vicende politiche, economiche e sociali del Paese, perché possano aiutarci ad avere più chiara l’idea del futuro.
GIAN MARIA FARA
Sociologo, ha fondato (1982) e presiede l’Eurispes (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali), ed è responsabile della Direzione scientifica del Rapporto Italia, riflessione annuale dell’Eurispes sulla situazione sociale ed economica del nostro Paese.
E’ membro del Comitato Scientifico della Fondazione Italia-Usa e del Comitato Scientifico di Europa Contemporanea, rivista ufficiale della Accademia delle Scienze di Mosca.
Dal 1990 al 2012 è stato consultore del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Nel corso degli anni ha insegnato Scienza dell’Opinione Pubblica presso La Sapienza, Università di Roma, l’Università di Salerno, l’Università di Teramo, la Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma, la LUISS e la LUMSA.
Attualmente è professore straordinario di Sociologia dei Processi Economici presso l’Universitas Mercatorum di Roma.
Tra le sue pubblicazioni: Cultura e immagine dell’artigianato italiano (Merlo, 1988), Etica e informazione (Valecchi, 1992), Il potere in Italia (Koinè, 1993), L’Italia in nero (Datanews, 2012), Classe dirigente, il profilo del potere in Italia (Datanews, 2012), Dalla spending review al ritorno del Principe, la Pubblica amministrazione come presidio di democrazia (Datanews, 2012), Outlet Italia. Cronaca di un Paese in (s)vendita (Datanews, 2013), La Repubblica delle Api (Datanews, 2013).