I finalisti del Premio Estense 2021: intervista a Walter Veltroni

Intervista a Walter Veltroni, autore de “Labirinto Italiano. Viaggio nella memoria di un Paese” e finalista della 57^ edizione

Un viaggio a ritroso nel tempo. Nel labirinto dei ricordi e della memoria del Paese Italia. L’elenco telefonico di Roma del 1946 è l’artificio letterario, ma anche la solidissima prova documentale, con cui Walter Veltroni da l’abbrivo al percorso narrativo di “Labirinto Italiano”.


Che viaggio nella memoria è un viaggio in un Paese che normalmente indaga con pochissimo interesse la profondità del suo passato?
“La vita di ciascuno di noi, e quella collettiva, ha senso se si sviluppa lungo tre direzioni: il passato, il presente, il futuro. Questa tridimensionalità dell’esistenza le conferisce senso e bellezza, la protegge dal rischio della banalità del vivere. Veniamo infatti costantemente sollecitati a rinchiuderci in un presente vissuto affannosamente, scandito dal ritmo battente di una comunicazione, orizzontale e verticale, che ha bisogno sempre di urlare e che fa della velocità il suo totem principale. Per questo, mentre si cammina nel proprio tempo, non è inutile ricercare i segni del cammino compiuto e le radici profonde del pensiero e dei valori che ci animano”.

Il libro scorre attraverso una trentina di storie. Tra testimonianze e testimoni, piccole commedie e grandi tragedie, si possono contare almeno cinque cammei a impronta emiliana. Un caso fortuito?
“L’Emilia è da sempre terra di passioni forti, di inventiva imprenditoriale, di comunità solidali, di genio, di fantasia, di ironia. Qui il passaggio dalla società agricola a quella industriale è avvenuto senza lasciare nella terra valori antichi e si è prodotta nel segno di una umana modernità che ha modellato il profilo degli emiliani e della loro identità. Tutti i protagonisti raccontati nel libro hanno un rapporto profondo con questa parte d’Italia e ne hanno interpretato – nell’editoria, nell’industria dell’auto, nella musica, nel cinema, nel giornalismo – la sensibilità e il coraggio anticipatore”.

Sergio Zavoli ha incarnato, come altri grandi giornalisti della sua generazione, un’etica del giornalismo al servizio dei più deboli che oggi si è smarrita. Non le pare, come domanda lei stesso a Julio Velasco nel suo libro, che (anche nel giornalismo) “ci sia un po’ l’autunno delle competenze”?
“Per anni, quelli che abbiamo appena passato, si è teorizzato che esperienza, competenza, formazione fossero improvvisamente diventati valori desueti, orpelli. Poi la materialità drammatica delle tre crisi che abbiamo vissuto – sanitaria, economica, sociale – ci ha fatto ritrovare la consapevolezza che solo la scienza e in generale il sapere è in grado di alimentare convinzioni personali e decisione politica in una società sempre più complessa. Sergio Zavoli ha faticato molto nella sua vita. Ha cominciato facendo le cronache via cavo nelle piazze di Rimini e Ravenna quando si giocava il derby di calcio, non si è sentito diminuito a cavalcioni di una moto che inseguiva l’ultimo dei gregari per raccontare la sua vita. Ha letto, scritto, raccontato ogni giorno della sua vita. La competenza, l’amore coltivato per quello che si fa, lasciano un segno. Il resto conta nella storia quanto le bollicine dell’acqua minerale”.

Gli ultimi capitoletti del suo labirinto parlano di Covid e soprattutto del Dopovirus. Quanto saremo capaci di usare questa crisi “non per aggrapparci ai brandelli del vecchio mondo, ma per governare l’alba del nuovo”?
“Sempre, nella vicenda umana, le grandi crisi sanitarie hanno poi prodotto profondi e positivi mutamenti. Fu così per la ‘peste antonina’ o per quella spaventosa che precedette l’avvio del Rinascimento. Si genera, nel buio del rischio della morte, il bisogno di luce e di luce nuova. Quando l’emergenza finisce si avverte il desiderio della ‘ripartenza’. Fu così, splendidamente così, dopo l’orrore della guerra quando l’Italia distrutta, divisa, sconfitta, offesa ebbe la forza di rialzarsi e di correre verso i suoi giorni migliori. Per farlo serve spirito di coesione e capacità di far convivere il rispetto comune delle regole e la magnifica differenza dei valori. E serve stabilità di governo e una reciproca legittimazione degli schieramenti in campo che consenta l’alternanza al governo, ossigeno per una democrazia in difficoltà”.

intervista di Generoso Verrusio pubblicata su Fare News

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