Intervista a Marzio Breda, autore de “Capi senza Stato.I presidenti della Grande Crisi italiana” e finalista della 58^ edizione
Quirinalista, ovvero un esperto di fatti legati alla presidenza della Repubblica. Tra i finalisti del Premio Estense 2022 c’è anche Marzio Breda con il suo “Capi senza Stato”. La nostra intervista al giornalista di lungo corso del Corriere della Sera tra fatti e ‘off the record’ degli ultimi cinque presidenti della Repubblica. “Per fortuna ho ottenuto la loro fiducia (in qualche caso anche l’amicizia) e ho cercato di farne un uso responsabile. Vale a dire che, quando mi veniva chiesta riservatezza, la garantivo, offrendo comunque ai lettori la genesi delle loro scelte con cognizione di causa. Senza faziosità o storture”.
19 articoli della nostra Costituzione sono dedicati al presidente della Repubblica. È lui la più tetragona delle garanzie per la tenuta della nostra democrazia?
“Secondo i costituenti i capi dello Stato devono essere rappresentanti dell’unità nazionale e garanti della Costituzione, oltre a officiare i riti repubblicani. Per esempio, sciogliere le Camere, nominare i presidenti del Consiglio, promulgare le leggi… Un ruolo ‘notarile’, con l’inquilino del Colle nella doppia veste di mediatore-regolatore, di scelte compiute comunque dal sistema dei partiti. Un ruolo rimasto imbalsamato in questa cifra minimalista fino ai primi anni Novanta. Quando tutto naufragò sotto i colpi dell’inchiesta Mani Pulite, che fece tabula rasa dei partiti, mentre l’economia entrava in affanno e la mafia attaccava il cuore dello Stato. Uno scenario cupo, che era stato anticipato con la ‘profezia della catastrofe’ di Cossiga attraverso le sue picconate. È con lui che comincia la metamorfosi dei presidenti, in bilico tra le prerogative ‘altissime e vaghissime’ di cui dispongono e le attese dei cittadini, smarriti di fronte alla caotica instabilità italiana. È così che il Quirinale diventa la camera di compensazione delle crisi, un centro di neutralità e tutela, per un sistema scosso da una transizione ancora irrisolta. Il fatale sviluppo evolutivo ha fatto dei presidenti delle figure camaleontiche e ibride, un po’ simboli e un po’ arbitri, un po’ capitani e un po’ tutori e – soprattutto all’estero – delle autorità morali. Il loro interventismo è giustificato dal potere (non scritto) di mediazione sottinteso a una simile carica. Per venire alla sua domanda, bisogna rievocare Carlo Esposito, padre del costituzionalismo liberale, il quale sosteneva che quando il sistema si inceppa il capo dello Stato diventa legittimamente ‘il motore di riserva’ della Repubblica. Questo spiega tutto. Compresa la spinta a trasformarsi, com’è successo in qualche momento, in ‘presidenti governanti'”.
Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. Cinque presidenti e altrettanti “stili di regia”. Un trentennio di giornalismo a contatto con la prima carica dello Stato. Come si conserva autonomia e spirito critico a questo livello?
“Per superare l’ufficialità e ricostruire, oltre alla scena, i retroscena degli eventi politico-istituzionali, bisogna coltivare un rapporto con i consiglieri del capo dello Stato. Nelle fasi più critiche è però decisivo il dialogo diretto con gli stessi presidenti, che non è mai facile instaurare. Per fortuna io ho ottenuto la loro fiducia (in qualche caso anche l’amicizia) e ho cercato di farne un uso responsabile. Vale a dire che, quando mi veniva chiesta riservatezza, la garantivo, offrendo comunque ai lettori la genesi delle loro scelte con cognizione di causa. Senza faziosità o storture, e rifuggendo la deferenza acquiescente in cui potevo cadere”.
Da quale è riuscito a ottenere il maggior numero di confidenze, seppure off the record?
“Da Scalfaro e Napolitano, che furono bersaglio di dure contestazioni durante i loro mandati. Forse per questo volevano motivare dettagliatamente, nelle chiacchierate che mi dedicavano, le proprie decisioni. Ma ho avuto familiarità pure con Cossiga e Ciampi e amicizia me l’ha dimostrata anche Mattarella”.
Napolitano e poi Mattarella hanno sfondato il limite del settennato. Perché proprio loro e perché nessuno prima?
“Napolitano, nel giorno della rielezione, disse: ‘’Si è dischiusa una finestra per tempi eccezionali’’. Aveva ragione e questa frase vale anche per l’esperienza di Mattarella. Uno sguardo retrospettivo ci riporta alla mente quanto la situazione politico-parlamentare fosse paralizzata e i partiti delegittimati. Insomma, rieleggerli era l’unico modo per salvare il salvabile. Non c’erano alternative”.
L’elezione di Draghi al Quirinale, direttamente da Palazzo Chigi, avrebbe prodotto una torsione accettabile per il nostro sistema democratico?
“Einaudi fu eletto capo dello Stato mentre era governatore della Banca d’Italia, ed esercitò il mandato con un’autorevolezza tale da diventare il paradigma del buon presidente. Lo stesso imprinting ebbe Ciampi: entrambi furono, a fasi alterne, degli economisti prestati alla politica. In base a questi precedenti non credo che se il Parlamento avesse votato Draghi (lui pure già al vertice di Bankitalia e poi della Bce) si sarebbe creato un vulnus per la democrazia, né che il sistema sarebbe entrato in torsione. Avrebbe certificato, questo sì, un estremo affanno della classe politica. Ma nulla di più”.
intervista di Generoso Verrusio pubblicata su FARE News